Teatri dell’assenza

di Marco Trevisan
Scrivere poesie non è difficile. Difficile è viverle. – Charles Bukowski
 
“C’è stato un periodo della mia vita in cui lavoravo in un teatro. E quel momento in cui tutti se ne erano andati e il palco era silenzioso e vuoto, è sempre stato quello più stimolante per me. Lo spettacolo era finito e la luce era ancora puntata sul palco, ma nessuno lo guardava più. Quello che cerco nel mio lavoro è proprio questo.”
Partendo da questo pensiero di Markus Lehr (fotografo berlinese, presente in mostra, che lavora su scenari che ricordano quelli di Gregory Crewdson) si sviluppa l’idea di questa prima selezione di Black Light Gallery, dove gli scatti sono viaggi emotivi attraverso il tempo e lo spazio, dove anche i luoghi che sembrano dimenticati – o forse ancora di più – hanno storie da raccontare e bellezze da rivelare.
Di teatri si parla anche nelle opere di Hiroshi Sugimoto. “Immagina se fotografassi un intero film in un solo fotogramma”; si era detto un giorno. E la risposta che si diede: “Avresti uno schermo fatto di sola luce”. Con una macchina fotografica di grande formato entrò in un cinema, aprì l’otturatore e quando due ore dopo il film finì, lo chiuse. 
Ciò che rimase con la stampa era solo uno schermo bianco, illuminato. Nella serie “Theatres” (3 opere in mostra, in edizione limitata), tempo e luce sono le variabili chiave, ma è l’;assenza del pubblico e  lìuniformità del risultato che creano un mondo sospeso, dove si sono narrate delle storie che sono terminate, dove;è il senso di qualcosa che è stato, dove ora entra in gioco solo la sensibilità dell’osservatore.
Nella piccola sezione “big names, limited editions” troviamo anche il francese Georges Rousse, le cui fotografie nascono dagli interventi pittorici realizzati dall’artista in luoghi abbandonati o in corso di demolizione. Luoghi spesso fatiscenti che riacquistano vita e nuove possibilità di significato grazie a un lavoro manuale che poi vienecatturato da uno scatto che testimonia l’intervento.
I lavori presenti di Lehr, Sugimoto e Rousse sono solo tre
progetti in mostra che raccontano luoghi dove cì;è stato il passaggio
dell’;uomo, dove si percepisce una presenza che c’era e non c’è più, dove l’assenza non ha per forza di cose una connotazione malinconica, ma si parla anche di intimità, riflessione, interiorizzazione.  Ed è così che ci si ricollega al legame con la natura. Le montagne riprese da Martin Schgaguler, con un
approccio attento all’architettura del paesaggio – tema caro anche ad esempio a Walter Niedermayr – sembrano spazi dove l’uomo non è mai intervenuto, dove potrebbe non essere nemmeno mai passato. Ma la sua presenza sembra essere un interrogativo, una possibilità,un avvertimento, in contrapposizione alla calma assoluta che generano i suoi scatti desaturati, stampati su grandi dimensioni.
Abbiamo bisogno di nuove modalità di elaborare un rapporto con il paesaggio . La complessità del reale, sembra ci venga suggerito, la possiamo affrontare solo con la lentezza e l’immutabilità della natura. Il suo lavoro va oltre la mera rappresentazione e descrizione, e gli elementi osservati diventano, come dice egli stesso ;oggetti di metafora emotiva. .
Gli still life di fiori e piante di Tessa Posthuma de Boer sono espressione delle origini dell’artista olandese. Il legame con la tradizione della pittura fiamminga è chiara, la texture, il modo di trattare la fotografia in maniera molto pittorica, il chiaroscuro. Quello che emerge è anche la sensazione di solitudine che ogni still life tipicamente crea, ma in questo caso sembra che i suoi lavori
raccontino il passaggio non solo dell’;uomo, ma della storia dell'arte.
In ogni scatto sembra che ci sia stata una pennellata di qualche artista, un pensiero e un pentimento, ore e ore di osservazione e interpretazione del soggetto, che diventa reale e concreto e trascende tempo e mezzo di espressione.
Gli spazi vuoti di Giovanni De Sandre sono l’altra faccia
dell’espressione del suo lavoro di fotografo di architettura, moda,
pubblicità, sociale, corporate, che l’ha portato a confrontarsi con i mondi più diversi, saturi di persone e storie. Per contrappeso, ha creato un mondo parallelo di ambientazioni rarefatte, luoghi vuoti e dell’;anima, che ha conservato e archiviato negli anni, per dare un’altra voce e un’;altra possibilità alla narrazione per immagini, per raccontare tutto quello che non viene detto nelle fotografie patinate, o semplicemente per raccontare momenti di assenza e di contrapposizione.  
Infine, il pluripremiato Giovanni Ozzola è presente in mostra – grazie a una collaborazione con Galleria Continua – con un grande lavoro che definisce, come sempre nei suoi progetti –  spazio tridimensionale e luce. I suoi principali interessi tematici risiedono nel  concettualizzare e rappresentare lìnfinito e l’esplorazione, sia geografica che introspettiva, spesso ambientando questi lavori in luoghi e architetture fatiscenti e abbandonate, dove si intravede una  visione prospettica e di fuga, al variare della luce.
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